Fino al XIII secolo Archimede fu poco noto in Occidente; l’unica opera in circolazione era la Misura del cerchio.
Nel 1269 Guglielmo di Moerbeke, un domenicano che risiedette a lungo presso la corte papale di Viterbo, eseguì la prima traduzione latina di molte delle opere di Archimede, raccolte in un codice oggi conservato alla Biblioteca Vaticana.
Faro culturale dell’Occidente, la corte di Viterbo era frequentata da studiosi del calibro del matematico Leonardo Fibonacci, del polacco Witelo, autore di una summa di ottica, di Campano da Novara, a cui si deve l’edizione degli Elementi di Euclide in uso fino al XVI secolo, dal filosofo inglese Ruggero Bacone. La traduzione di Moerbeke, estremamente fedele al testo greco, non ebbe grande seguito: la difficoltà del contenuto rispetto allo stato delle conoscenze, le drammatiche vicende della peste nera e la Guerra dei Cent’anni ne limitarono la diffusione.
Guglielmo di Moerbeke, chi era?
Stabilitosi alla corte papale di Viterbo, il cappellano fiammingo Guglielmo di Moerbeke tradusse in latino numerosi testi scientifici dell’antichità, tra i quali, nel 1269, le opere di Archimede, usando come fonte la versione greca contenuta in due codici, detti A e B: il primo redatto a Costantinopoli nel IX secolo, mentre l’origine del secondo, scomparso nel 1311, è ignota. La traduzione di Moerbeke comprende anche il trattato Sui galleggianti, presente solo nel Codice B. Le notizie sul Codice A s’interrompono a metà Cinquecento circa: copiato varie volte tra XV e XVI secolo, sarà alla base dell’editio princeps delle opere di Archimede, pubblicata a Basilea nel 1544.
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